“Day and Age“, i Killers tornano sul luogo del delitto, sfrontati, ambiziosi, e assolutamente vincenti. Tutto, e il contrario di tutto, questa la via maestra per il successo dei Killers. Nel tempo in cui l’America si sposta sull’onda dell’ Obama mania, Brandon Flowers si professa difensore delle armi, simpatizzante di George Bush, patriota e credente, per di più mormone, insomma mostra di avere tutte le carte in regola per attirare l’attenzione su di se. Folta e nutrita anche la lista degli “amici”, nella presentazione del nuovo singolo “Human“, manda in pensione gli U2, “il loro tempo è passato ora ci sono i Killers”, tenero anche con i Green Day, definendo disgustoso il video “American Idiot” per il loro antipatriottismo. Tra i sostenitori spuntano però nomi eccellenti come quello di Chris Martin che definisce “Human” la canzone dell’anno e il baronetto Sir Paul McCartney che sembra abbia espresso il desiderio di poter collaborare con i Killers. Stilato il contorno ambientale, non rimane che andare nel dietro le quinte di questo album. Il sound e le atmosfere nascono nella mente di Stuart Price (Les Rythmes Digitales); produttore tra gli altri di Madonna e Keane, uno che nel suo studio tiene in bella mostra i poster di Brian Eno e David Bowie. “Day and Age” è piu vicino alle melodie glam e anglofone dell’esordio di “Hot Fuss” piuttosto che ai cowboy di “Sam’s Town” con una notevole maturazione. Azzeccata la traccia di apertura “Losing Touch” con un basso e sax a rifinire le parti elettroniche, per un inizio tutto in crescendo. “Human” singolo da hit, in stile Pet Shop Boys, uno di quei ritornelli difficile da togliersi dalla mente per tutta la giornata “you’ve gotta let me know are we human or are we dancer“. “Spacemen” che cerca di suona simile alla “Starman” di Bowie, la canzone che più si richiama ai tempi di “Mr. Brightside“. “A Dustland Fairytale” ballata rock che racconta la storia dei genitori di Brandon quando avevano 15 anni “inizia una fiaba da un paese polveroso”. Le leggiadre “This Is You Life” e “I Can’t Stay“, pop dai cori tribali africani la prima, e un pò swing con clavicembali e arpe la seconda. A seguire “Neon Tiger” le cinque stelle dell’album, manifesto barocco della band, emozionale, evocativa, con la salita sul trono di archi e voce. Da ultima la straziante “Good Night Travel Well” scritta dopo la morte della madre del chitarrista Dave Keuning. Intima e profonda nei testi “stay, don’t leave me, the stars can wait for your sign, don’t signal now“; quanto stupenda nella sua teatralità, e nella sua sinfonia di ottoni e violini, un’ ammaliante discesa nel buio. Ancora una volta molto in alto.